Città di sogni

 
 
 
 

Il 18 aprile 2023 è uscito in contemporanea mondiale Città di sogni, nuovo romanzo di Don Winslow e secondo di una trilogia che comprende Città in fiamme (da noi recensito qui) e Città in rovina, ancora inedito (e che, curiosamente, nella quarta di copertina del primo dei tre volumi è stato presentato come Città in cenere).

Città di sogni, pubblicato in Italia – come il titolo precedente – da HarperCollins nella traduzione di Alfredo Colitto, narra prima la fuga e poi il tentativo di riscatto di Danny Ryan.

Ryan, negli anni, è diventato il capo della fazione irlandese che – dopo un lungo periodo di convivenza pacifica – ha combattuto una cruenta guerra contro una famiglia mafiosa italiana per il controllo del New England.

Come in una mise en abyme, Ryan e i suoi uomini scopriranno che a Hollywood si sta girando Providence, un film – grandioso negli investimenti e nelle ambizioni – proprio sul conflitto che li ha costretti ad abbandonare i loro luoghi d’origine.

Providence, anzi, li vedrà presto coinvolti attivamente, e favorirà prima un nuovo e inatteso innamoramento di Danny Ryan, poi l’incombere di un’altra ipotesi di catastrofe.

Già il gioco metaletterario di una (finta) pellicola basata sui fatti del (vero) libro precedente crea un doppio straniamento per il lettore e, assieme, un doppio atteggiamento autoironico da parte di Winslow.

Anzitutto, Providence trae spunto dal primo romanzo della trilogia, ed è anticipatorio di ciò che è destinato ad accadere nella realtà: in occasione dell’uscita di Città di sogni, infatti, è stato annunciato che Città in fiamme diventerà un film.

Muovendo poi sulla pagina un doppio piano narrativo, che potremmo chiamare autentico e finzionale, Winslow è come se prendesse le distanze dalla propria opera.

Qui vale la pena di ricordare una recente dichiarazione dello scrittore, che dopo la trilogia in via di pubblicazione interromperà la propria carriera letteraria per dedicarsi a contrastare quello che a più riprese ha definito come “trumpismo dilagante”.

Questa lunga premessa metatestuale potrebbe far pensare a Città di sogni come a un’opera disincantata, crepuscolare, o magari autocelebrativa.

Al contrario, l’appassionante romanzo poggia, come sempre accade in Don Winslow, su una trama robusta e dallo sviluppo sorprendente, su personaggi vividi e perfettamente correlati tra loro. E, stavolta, anche su una grande varietà di prospettive e registri. Accanto ai conflitti interiori dei personaggi, presi nell’inestricabile dialettica tra bene e male, qui trovano più spazio del consueto sentimenti come l’amore e atteggiamenti come l’ironia, segnali non di un atteggiamento più speranzoso ma, semmai, di una maggior concessione alle gioie effimere che la vita può offrire. Chiusa com’è tra il punto finale e il fatto che “nulla è più persistente, più paziente, del passato” (p. 259).

Don Winslow non è solo, come leggiamo nella quarta di copertina (che, si sa, ha funzione pubblicitaria) un “maestro del crimine”, bensì uno dei maggiori scrittori contemporanei, capace di trasporre nel genere noir il senso di precarietà esistenziale della nostra epoca. Dove disparità economico-sociali sempre più accentuate, ritmi sempre più frenetici e commistioni sempre più ambigue di reale e virtuale restituiscono un perenne senso di instabilità, morale ancor prima che materiale. Per cui il bisogno di giustizia e bellezza è eternamente minacciato dal (o confuso col) desiderio di immediate, transitorie e non necessariamente lecite gratificazioni.

Dice Danny Ryan tra sé, in una delle pagine finali di Città di sogni: “Forse è la bellezza che vuoi. Un po’ di bellezza in questa vita. Perché la bruttezza non ti è mancata, questo è certo.
La moglie morta di cancro, il figlio rimasto senza madre.
Amici uccisi.
E le persone che hai ucciso tu.
Ma alla fine, pensa, ce l’hai fatta. Hai costruito qualcosa di bello.
Perciò è qualcosa di più.
Sii onesto con te stesso, pensa. Vuoi più denaro perché il denaro è potere e il potere è sicurezza. E non sei mai abbastanza al sicuro.
Non in questo mondo” (p. 367).

 

(Claudio Bagnasco)

 
 
 

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