Il passeggero

 
 
 
 

[Abbiamo scritto le seguenti righe prima della dolorosa notizia della scomparsa di Cormac McCarthy, avvenuta il 13 giugno 2023. Con McCarthy ci lascia uno dei maggiori scrittori contemporanei, un raro esempio di dedizione assoluta alla parola.]
 
 
A sedici anni dall’uscita de La strada (romanzo del 2006, vincitore del Premio Pulitzer l’anno successivo), Cormac McCarthy torna in libreria con Il passeggero e Stella Maris.

I due volumi sono stati pubblicati negli Stati Uniti il 25 ottobre e il 22 novembre del 2022, mentre per i lettori italiani Einaudi ha scelto di diluire i tempi: Il passeggero è uscito il 2 maggio, Stella Maris sarà dato alle stampe il prossimo 26 settembre, entrambi nella traduzione di Maurizia Balmelli.

Affrontando il libro da una prospettiva per noi insolita, diciamo subito che Il passeggero ci è parso sorprendentemente poco riuscito. Dove l’avverbio indica il fatto che ci troviamo al cospetto di un autore ormai celebrato come un classico contemporaneo, che ha scritto opere memorabili per tensione morale e nitore di scrittura.

La trama, o meglio l’episodio che funge da scaturigine della vicenda, è assai semplice. Siamo nel 1980 e Bobby Western, sommozzatore, durante una missione di recupero al largo della costa del Mississippi scopre un piccolo aereo inabissato, con a bordo nove passeggeri. Ne manca un decimo, che pure era sulla lista (e con lui è scomparsa anche la scatola nera del velivolo).

A questa irrisolvibile assenza se ne aggiunge un’altra: la precoce morte della sorella di Bobby, Alicia, bellissima ragazza, genio matematico e psicotica vittima di allucinazioni, amata da Bobby con un sentimento che sembra travalicare il mero affetto fraterno.

Due non meglio definiti emissari del governo interrogheranno Bobby sulla missione di recupero e sul misterioso decimo passeggero. Questo e altri accadimenti indurranno il protagonista ad abbandonare i propri luoghi e le persone care, che tuttavia rincontrerà nel corso del tempo.

Le due irrisolvibili assenze di cui dicevamo paiono paradigmatiche del vuoto di senso in cui si consumano le vite. E così, Bobby e i suoi eccentrici sodali sciorinano conversazioni colte sui più disparati argomenti, con un’attenzione particolare alla fisica quantistica, rappresentate da dialoghi spesso scritti in modo magistrale, e – come di consueto per McCarthy – senza segnali di apertura del discorso diretto. Come se ragionamenti e argomentazioni non rappresentassero che un unico, ininterrotto umano spasmo, vanificato dalla finitudine in cui si è costretti.

Ora. È possibile che il pessimismo di Cormac McCarthy (pessimismo che in Meridiano di sangue aveva le vesti dello spietato giovane protagonista, e ne La strada quelle dello spettrale paesaggio) qui si dilati sino a erodere il significato stesso dell’atto dello scrivere, mettendo così in scacco il lettore.

In verità non ci preoccupano le opere sperimentali, né crediamo che un romanzo debba necessariamente soddisfare le attese di chi lo affronta. Tuttavia, a lettura ultimata, cosa resta di un libro come Il passeggero? Una scrittura straordinaria (e tradotta in modo eccellente) al servizio di dialoghi sovente così sentenziosi (verrebbe da adoperare il perfido aggettivo filosofeggianti) da risultare non solo poco credibili ma anche ben poco affabili.

Più di un recensore, aggiungiamo, ha espresso un curioso dubbio, rivolto non a Il passeggero ma a sé. Dubbio simile a un complesso di inferiorità, che però è bene scrollarsi di dosso: se una prova narrativa, a prescindere dalla statura dell’autore, risulta priva di un centro e soprattutto, in definitiva, noiosa, il lettore deve trovare il coraggio di dire che non per forza la responsabilità è da ricercare nella propria mancanza di strumenti interpretativi.

Insomma: anche l’opera di un grande scrittore può non essere riuscita. Nonostante una simile ammissione sia faticosissima per chi – come l’estensore di queste righe – pone Cormac McCarthy tra i suoi narratori favoriti.

Un narratore capace di un attacco simile (corsivo nel testo, come ogni sezione del libro che riguarda Alicia): “Nella notte era scesa una leggera nevicata e i suoi capelli ghiacciati erano aurei e cristallini e i suoi occhi gelidi e duri come pietre. Uno degli stivali gialli le si era sfilato e spuntava dalla neve sotto di lei. La sagoma del cappotto impolverata di neve si disegnava dove l’aveva lasciato cadere e vestita solo di un abito bianco lei pendeva tra i nudi e grigi tronchi degli alberi invernali con il capo chino e le mani leggermente rivolte all’infuori come quelle di certe statue ecumeniche la cui postura chiede che ne venga contemplata la storia. Che vengano contemplate le fondamenta del mondo poiché originano dal travaglio delle sue creature” (p. 3).
 
 
(Claudio Bagnasco)

 
 
 

 

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