Autore: agostinobimbo

Una florida ed eccitante vita interiore

 
 
 
 
 
C’è una vitalità malinconica nei personaggi della raccolta Una florida ed eccitante vita interiore, dello scrittore australiano Paul Dalla Rosa (Pidgin, 2024; traduzione di Stefano Pirone).
 
Quasi tutti giovani, smaniano neUna florida ed eccitante vita interiorelle metropoli del mondo occidentale, da Dubai a Los Angeles, Tel Aviv e Melbourne, alla ricerca di successo e carriera. Il protagonista di La fama, ad esempio, è un cantante ventenne che bazzica i palcoscenici della Gold Coast australiana, surrogato dello star system californiano. Le sue giornate si consumano davanti a serie tv dedicate a personaggi celebri, in cui cerca (invano) una sorta di traccia per edificare la propria identità. L’unica occasione che gli viene offerta, dall’esito drammatico, non cambierà la sua situazione. Stessa parabola per il protagonista di Storia di un master in fine arts, che brucia le sue velleità letterarie in giri criminali che ne sgretolano l’esistenza.

Non sono inerti, eppure ogni loro sforzo rimbalza contro una realtà indifferente. Lavorano quasi tutti ma hanno sempre bisogno di soldi. Le loro carte di credito American Express, spesso in rosso, sono semplici linee di credito che non garantiscono stabilità. Tutte le loro energie sono tese a racimolare denaro, pensiero fisso in quasi tutti i racconti (“Più tardi, inviai un lungo messaggio al mio ragazzo descrivendo l’intera vicenda […] Poi, una serie di tre emoji di contanti”, p. 31; “Di tanto in tanto nella mente di Sam si affollavano pensieri che correvano così velocemente da lasciare scie fantasma. I pensieri erano: SOLDI, Soldi, soldi e CONTANTI, Contanti, contanti”, p. 57).

Neanche le relazioni li appagano. Hanno amori virtuali o a distanza (“Lo dissi al mio ragazzo […] Era in Islanda alla scoperta di se stesso. […] Viaggiava sempre da solo”, p. 21; “Vivevamo in appartamenti separati”, p. 26). Ad avvicinarli al prossimo è l’uso di droghe o i regali che spediscono ai loro contatti online. Provano odio o gratitudine verso persone che non hanno mai conosciuto, come il protagonista di Comme, che freme per incontrare la responsabile della catena di negozi di abbigliamento in cui è impiegato (Ci riuscirà la sua collega: “Chiesi a Heidi se avesse parlato con R e cosa avesse detto lei. Heidi rifletté per un po’. Tenne le labbra unite, poi le aprì. «Grazie. Ha detto Grazie»”, p. 38)

La meccanica del fallimento è pressocché identica in tutte le storie. Non si tratta di agonismo sociale, legge del più forte in un mondo privo di valori. Il conflitto fra personaggio e realtà è assente perché quest’ultima è dominata da entità sovraumane, e come tali inaffrontabili: si pensi al gatto demoniaco che condiziona l’esistenza della protagonista di Charlie ad alta definizione, alle assicurazioni sanitarie che stritolano il povero Sam, protagonista di Mucchietto, ai padroni di casa e ai datori di lavoro mai visti. È un vuoto di potere quello che sovrasta la realtà narrata, o meglio una sproporzione tale fra il singolo e il suo destino da impedire qualsiasi epica (“Non sapevo se l’attività fosse tutta della donna – se fosse lei la proprietaria o sa se lavorasse per qualcun altro. In un certo senso tutti lavorano per qualcun altro e, quando non è così, lavorano all’interno di qualcos’altro, qualcosa di più grande. Sistemi, pensai. È tutta una questione di sistemi. È l’economia”, p. 146).

I personaggi, in un evidente circolo egocentrico, si limitano a contemplare sé stessi nella rete (“Io non facevo nulla durante il giorno. Non mi esercitavo o mi preparavo. […] Dopo una mattinata di E! camminai per casa scattando foto a me stesso. […] A volte le pubblicavo su Instagram e sulle app di incontri, non perché fossi in cerca di sesso ma perché mi piaceva ricevere complimenti” p. 96; o ancora “Si fotografarono a vicenda sul ponte. Lo yacht era fermo, attraccato al porto. Ciò non era evidente nelle foto”, p. 189). In alternativa, con una soluzione ancor più narcisista, tentano di vedersi vivere, costruiscono cioè piccoli mondi in cui muovere il proprio avatar. Una soluzione narrativa originale, ripresa in più brani, che descrive efficacemente la tragicità delle loro esistenze (“Emma aveva iniziato a vedersi come un modello in uno dei suoi rendering, o meglio come un avatar di Emma nel gioco The Sims o nella sua estensione Brooklyn. L’avatar di Emma era un Sim che giocava a The Sims per guadagnare denario, che però era sempre e solo sufficiente per continuare a giocare e, in certi momenti, per migliorare gli articoli per la casa”, p. 86; oppure “Sam pensò che sarebbe stato divertente se in questo ultimo Grand Theft Auto, avesse potuto lavorare in un Pancake Saloon. Poteva tornare a casa dal lavoro, aprire il suo file di salvataggio e far lavorare il suo personaggio al Pancake Saloon, entrando da un ingresso per i dipendenti renderizzato in 3D, con un’uniforme identica alla propria, e poi tornare alla sua tana, che sarebbe stata piena di tutte le cose belle che Sam avrebbe comprato”, p. 53).

L’ulteriore tentativo, infine, è quello di improvvisare una fuga dal mondo seguendo derive spiritualistiche. L’esito è grottesco. Esempio massimo è il racconto Life coach, in cui il protagonista si avventura in un viaggio in Oriente insieme ad altri influencer alla ricerca di esperienze edificanti. Il loro è un esercizio solipsistico, tautologico (“Era una persona molto spirituale e lo comunicava nella sua pagina «Chi sono» dicendo: «Sono una persona molto spirituale», p. 163”) mediato dai rispettivi profili virtuali in cui si vendono a vicenda fantomatici training esistenziali (“Le dissi che volevo fare un’esperienza spirituale e lei annuì, mi guardò negli occhi e rispose: «Ci sono dei video su YouTube per questo genere di cose»”, p. 175). Il tutto, guarda caso, si rivela una truffa (“Mi sentii meglio dopo aver mangiato i noodles. […] La canadese e il tedesco stavano parlando di Dio, del fatto che se Dio era tutto, allora il tavolo era forse Dio, e se il tavolo era Dio, ciò avrebbe cambiato il loro modo di interagire con esso? […] Poi andai di sopra La roba di Jacob era sparita e il mio bagaglio era sparito”, p. 177).

Ha il sapore amaro di una beffa, il percorso della raccolta di Dalla Rosa. Lo stesso atto di narrare, forse, sembra assoggettato alla logica inconcludente che grava sulle vicende dei personaggi. Le parole finali del protagonista de La fama sembrano esserne il manifesto: coinvolto contro la sua volontà in un videotape hard, dirà seccamente “Quella mattina feci l’unica cosa che sapevo fare; mi voltai verso la telecamera e diedi spettacolo” (p. 111).
 
 
Agostino Bimbo

 

Pelleossa

 
 
 

C’è una tensione verso il fantastico nella scrittura di Veronica Galletta, il tentativo di sovrapporre alla realtà una rete altra per comprenderne le regole: dalle mappe delle Isole di Norman (Italo Svevo, 2020) al fantasma di Nina sull’argine (minimum fax, 2022; già recensito sulla nostra rivista). Anche in Pelleossa (minimum fax, 2023) la narrazione fa spazio alle sculture parlanti del giardino di Filippu, l’artista ai margini della comunità di Santafarra dove è ambientata la vicenda, allo sguardo lunare del giovane protagonista e ai tanti animali, piante e luoghi carichi di valenze simboliche.

Pelleossa

Sono gli occhi di Paolino, non a caso soprannominato Ncantesimo, a trasfigurare il tempo storico, la Sicilia dello sbarco americano e dell’immediato dopoguerra, in una dimensione sospesa tra fiaba e narrazione epica. Come un cavaliere nella sua personalissima quête, il bambino, contraddistinto da un marchio di estraneità che lo accompagnerà sino al termine della vicenda, attraversa i conflitti in atto nel suo paese – quello fra Terragni e chiddi di Sali, fra la comitiva dei ragazzi della Cava e tutti gli altri, fra comunisti e proprietari terrieri nelle lotte per la distribuzione agraria – alla ricerca della verità. Una verità ricostruita grazie alle voci degli esclusi, il cui punto di vista guiderà il percorso di formazione del ragazzo.

Eccolo perciò, una volta varcata la soglia del giardino proibito, diventare amico di Filippu, definito scultore di umanità – al tempo stesso estraneo al mondo (“«Fate anche ritratti», chiese Calogero. «Di gente viva? Mai! L’umanità viva è solo ossessione»”, p. 242) ma conoscitore della sua identità più vera («Chiffài?», si decise a chiedere [Paolino]. «Scolpisco la felicità», rispose Filippu”, p. 281). Proprio lì, in compagnia dei suoi cani e della fedele lucertola, Paolino scopre sé stesso dialogando con le sculture, leggendo il giornale all’amico analfabeta e apprendendo da lui il lato oscuro del sogno americano, dei legami fraterni e del percorso faticoso attraverso cui ogni uomo conquista la propria libertà.

E sono tanti, i maestri marginali del ragazzo: il nonno cestaio, grazie a cui raccogliere frammenti della storia familiare e comprendere la differenza fra padroni e cafoni (“«Quelle che c’arristavano [le cipolle] le vendevamo. Perché il Marchese se ne teneva la metà». «E perché?» «La terra era la sua». «Ma senza fare nenti. È assai». «Si chiamano patruni»”, p. 214). Zu Ntoni, il sordocieco che ridisegna la mappa della comunità attraverso gli odori dei paesani e indirizza il ragazzo verso quelli di cui fidarsi (“L’unica cosa che mi ha dato la solfata, levandomi tutto, è la nasca. Sento cose che l’autri non sentono. Come l’odore della paura. L’avevi tu, quando io ti pigghiai per la mano, l’avi Cateno quando sa frati lo picchia, l’aveva suo padre Nunzio dentro alla miniera. L’avemu tutti, ma devi stare attento. È come lo scuru nella miniera. Non ti specchiare troppo nella paura»”, p. 55).  E ancora, i rappresentanti del mondo nuovo figlio della Resistenza e delle lotte sociali, quell’anima dissidente della comunità incarnata dal sindacalista Angelo Foglia, padre della sua amata Natalia.

La ricerca lo obbliga a svariate prove, come ogni epica che si rispetti. Le profondità naturali di cui è ricca la geografia di Santafarra sono lo scenario per eccellenza, il luogo dove affrontare la paura e riemergere cambiati: dal mare pieno “di pisci e scheletri”(p. 130), con tutte le sue risonanze attuali, dove suo padre e il fratello Pascali lavorano ogni notte; alla solfara, che minaccia i personaggi della comunità fino ad inghiottirne qualcuno; alla grotta di Filippu dove strepitano i conflitti della sua vita, come quello con l’odiato fratello Melo; fino allo sguardo del padre carico di rancore (“Gli pareva che dentro quel nìvoro suo padre se lo poteva risucchiare”, p. 309).

Ed è tutto il panorama siciliano a cantare. Un giardino a cielo aperto fitto di elementi evocativi – l’ulivo saracino sotto cui Paolino si rifugia, gli animali sapienti, la casa Verde come cardine delle vicende familiari. Tante le descrizioni in cui risuona la potenza dell’immaginario su cui è costruito il romanzo (“Dall’alto la Cava pareva un castello di sabbia, con gli spigoli mangiati dallo scirocco, e le balate che sudavano acqua, come sorgenti mute”, p. 102; “Dopo mesi accussì caldi che i pisci finevano nelle reti già cotti, era arrivato l’autunno di vento di terra, e dal Monte Cronio spiravano l’odori del bosco. Muschio, funghi, terra spostata dalle bestie che cominciavano a cercare riparo per il letargo”, p. 278).

Oltre a Paolino, tuttavia, la vera protagonista di Pelleossa è la lingua, il vero Ncantesimo che possiede le pagine. La creazione letteraria di Galletta, erede dei siciliani letterari della tradizione, da Verga a Vincenzo Rabito, sostiene la malia della storia, rende nitidi i personaggi e il brulicare della loro comunità. Ma non è  un filtro pittoresco. La lingua diventa mappa del reale: il viaggio del protagonista è proprio una conquista di parole nuove per comprendere il mondo e agirvi. Il bambino scopre cosa significhi nabile, rimpatriato, pazzo in relazione a Filippu («Nu scemu». «Ed è scemu Filippu?» «Nzù. Solo tanticchia originale» gli dirà nonno Silvestro, p. 272), cosa significhi disertore riguardo a suo fratello Calogero (“«È un uomo che scappa per non fare una cosa». «È un uomo senza parola», aveva detto Paolino. «In un certo senso», aveva risposto Calogero, «ma è giusto essere senza parola quando le parole sono storte»”, p. 208), cosa siano l’America e gli americani, i patruni della terra e lo stesso nomignolo Pelleossa in cui risiede l’origine della sua identità.

Il risultato è un libro dalla lingua rigogliosa, riflesso di una Sicilia in movimento, agli antipodi del diorama gattopardiano (“nulla è sempre u stissu, anche quando pare”, p. 79) grazie agli occhi di Paolino e alla sua epica degli esclusi, cui il testo ridà voce con una carica costante di umanità e tensione morale.

 
 
Agostino Bimbo

I vincitori di “Racconti a colpo d’occhio”

 
 


 
 
Cari tutti, il concorso “Racconti a colpo d’occhio” si è concluso alle ore 23:59 del 20 gennaio scorso e, che ci crediate o no, da allora gli squadernauti si sono chiusi in una stamberga di Mosfellsbær a leggere, ragionare, dibattere. E pure a deliberare: sì, abbiamo finalmente i nomi dei tre vincitori, che siamo felici di annunciare.
 
Si aggiudicano dunque il primo concorso letterario squadernautico “Racconti a colpo d’occhio”:

“La santa” di Cristina Pasqua, per l’illustrazione di Cristiano Baricelli;
“Bonsai” di Vanessa Porqueddu, per l’illustrazione di Anna Cigoli;
“Il principe lungabbraccio” di Thomas Lehn, per l’illustrazione di Carlotta Mazzi.

I racconti vincitori saranno pubblicati su Squadernauti in queste date:

venerdì 9 febbraio “Bonsai” di Vanessa Porqueddu;
martedì 13 febbraio “Il principe lungabbraccio” di Thomas Lehn;
venerdì 16 febbraio “La santa” di Cristina Pasqua.

Gli squadernauti si complimentano con i vincitori e ringraziano affettuosamente tutti coloro che hanno partecipato al concorso.

Racconti a colpo d’occhio

 
 
 
 
Amiche e amici di Squadernauti,
 
quest’anno festeggiamo il Natale con una doppia novità. Intanto, il nostro sito è diventato grande: da oggi ci trovate all’indirizzo https://www.squadernauti.com/
 
Ma soprattutto, da questo istante ha inizio “Racconti a colpo d’occhio”, concorso dedicato ai racconti inediti, che dovranno ispirarsi a una delle tre illustrazioni originali a opera di tre dei nostri più fedeli illustratori, e cioè Cristiano Baricelli, Anna Cigoli e Carlotta Mazzi. Le modalità di invio sono descritte qui. Le opere devono essere spedite all’indirizzo squadernauti@gmail.com entro le 23.59 di sabato 20 gennaio. Verrà proclamato un vincitore per ogni illustrazione. I tre racconti vincitori saranno pubblicati su Squadernauti.
 
Grazie a chi vorrà condividere questo messaggio, buona scrittura e, mica ci dimentichiamo, a voi tutti i più mastodontici auguri da parte della redazione di Squadernauti!
 
 
Racconti a colpo d'occhio Baricelli
 
Racconti a colpo d'occhio Cigoli
 
Racconti a colpo d'occhio Mazzi

 
 

Litania romanzesca

 

 
 
Litania romanzescaCoi rosoni tutti trame, con le guglie attortigliate e le icone belle in fila: bizantini in campo astratto: ogni nicchia un Santo afflitto, Santo-Trauma da adorare.

Con l’altare intabarrato di merletti introspettivi dal solerte sacrestano. Con la cesta della questua rimpinzata dal beghino – personaggio inginocchiato per il rito narrativo; col rosario fluorescente, circonfuso dall’incenso. Tutto intento. Nel silenzio.
 
Chi le sente, le bestemmie? E i grugniti delle tresche? E gli spasmi dei peccati vagabondi, negli stracci, fra i sudori solforosi? Chi li bacia i mendicanti sugli stipiti inviolati del romanzo cattedrale?
 
 

(Agostino Bimbo)
 
 

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