Agostino Bimbo

Litania romanzesca

 

 
 
Litania romanzescaCoi rosoni tutti trame, con le guglie attortigliate e le icone belle in fila: bizantini in campo astratto: ogni nicchia un Santo afflitto, Santo-Trauma da adorare.

Con l’altare intabarrato di merletti introspettivi dal solerte sacrestano. Con la cesta della questua rimpinzata dal beghino – personaggio inginocchiato per il rito narrativo; col rosario fluorescente, circonfuso dall’incenso. Tutto intento. Nel silenzio.
 
Chi le sente, le bestemmie? E i grugniti delle tresche? E gli spasmi dei peccati vagabondi, negli stracci, fra i sudori solforosi? Chi li bacia i mendicanti sugli stipiti inviolati del romanzo cattedrale?
 
 

(Agostino Bimbo)
 
 

Foto dell’autore

 

Lei che non tocca mai terra

 

 

Miriam è la protagonista del secondo romanzo di Andrea Donaera, Lei che non tocca mai terra, edito da NN (2021). Prima di essere una metafora di levità e distacco dal mondo, il titolo descrive letteralmente lo stato della ragazza: in coma, allettata nella sua casa di Gallipoli dopo essere stata investita. A farle visita ogni giorno, a parlarle, è Andrea, un ragazzo conosciuto poco prima dell’incidente, con la vita segnata dal suicidio del padre: “Quando mio padre ha sparato è successo che il proiettile ha fatto molti buchi: uno è nell’anima di mia madre – un altro nella mia testa” (p. 35).Lei che non tocca mai terra

Ma Andrea non è il solo a parlarle. Intorno al letto si avvicendano la madre di Miriam, Mara, il padre Lucio, sindaco della cittadina pugliese, e Gabry, amica stretta che le invia messaggi vocali da Bologna, dove si è trasferita.

Comunicano con lei perché serve al processo di guarigione: “C’è una dottoressa. Dice che fa bene, se parliamo. È una terapia, dice. Si chiama talking cure” spiega Andrea (p. 38). Così tutti si confidano, raccontano. E su quel letto, per proiezione, sembrano stendersi i personaggi in una seduta di psicanalisi in cui emergono i conflitti familiari, fra Mara e suo marito nonché fra madre e figlia, e i traumi del passato comune.

Al centro dei drammi narrati c’è la figura di Papa Nanni, santone ed esorcista, fratello di Lucio. A portarci al suo cospetto è Andrea, che suona il tamburello durante i riti di liberazione dal Maligno e che in lui ha trovato una figura paterna, una guida per elaborare la presenza del Male nella vita umana. Male di cui Papa Nanni ha una concezione dogmatica, manichea, che adesso applica alla relazione fra il ragazzo e Miriam: “Ho detto che quella ragazza ha il Male dentro. Ho detto che io non posso permettere che il Male infetti il mondo. Perché sono stato mandato da Dio proprio per combatterlo, il Male.”  (p. 20)

I fatti narrati, concentrati nell’arco di una settimana, si dipanano attraverso le voci in prima persona dei personaggi che costruiscono pagina dopo pagina un romanzo corale dalla prosa paratattica, rapida, dotata di grande immediatezza espressiva e molto vicina al parlato, da cui mutua anche inflessioni dialettali (Lucio è il personaggio più connotato in questo senso).

La mimesi del parlato lascia però spazio a momenti di lirismo, soprattutto nella voce di Miriam, che col suo incedere spezzato, incerto, nella dissolvenza della coscienza in coma, trasforma interi segmenti di testo in veri e propri componimenti poetici. Non a caso, la poesia è un elemento centrale nell’identità di entrambi i protagonisti: un verso di Se mi emoziona di Michele Mari racchiude il loro desiderio di vivere insieme, Argonauta con sirena di Antonio Riccardi, acquistato dalla ragazza nel negozio sotto casa di Andrea, li spingerà al primo incontro, i versi di Biografia sommaria di Milo de Angelis segnano i momenti cruciali della loro storia, Andrea legge a sua madre La ragazza Carla di Elio Pagliarani per riscuoterla dal torpore in cui è caduta.

Lungo tutto il testo c’è un’attenzione evidente alle strutture sintattiche, alle singole frasi o parole che, isolate e ripetute, creano un crescendo emotivo nella narrazione (si pensi alle anafore, “Hanno detto che aveva contusioni […] Hanno detto che aveva pure segni […] Hanno detto che […] Hanno detto che è strano […] Hanno chiesto”, p. 146; alle enumerazioni, “L’asfalto, il fango e il nevischio, la terra nera, il vento, i rami, gli ulivi, il fango, i tuoi passi, il rumore del vento, la spina dorsale”, p.14 o all’uso del polisindeto “E ho pianto, certo che ho pianto. E lì c’era una specie di leggio […] E allora ho preso una candela […] e l’ho avvicinata […] E gli ho dato fuoco”, p.144).

Tali registri, come già visto nel libro di esordio di Donaera, Io sono la bestia (NN editore, 2019), si mescolano con naturalezza al flusso del parlato e convivono con l’ambientazione gotica a base di magia, violenza e morte; una favola nera in cui il santuario di Papa Nanni “sale dalle viscere del terreno, in mezzo a un uliveto immenso, come le case delle streghe nei boschi delle favole” (p. 73) e Miriam viene più volte definita “bella addormentata”.

La presenza del Sud magico, da questo punto di vista, gioca un ruolo decisivo: esorcismi, maledizioni, il tamburello intriso di olio santo e la scopa di saggina benedetta. Ma attenzione: non si tratta di decorazioni o effetti impressionistici. La magia è radicata nelle relazioni in atto nella storia: Papa Nanni esercita una sorta di incantesimo sui personaggi con cui interagisce e gli effetti sono quelli tipici della fascinazione meridionale. Il meccanismo, scomodando le pagine di Ernesto Di Martino, è quello noto di “Una condizione psichica di impedimento e di inibizione, e al tempo stesso un senso di dominazione, un essere agito da una forza altrettanto potente quanto occulta, che lascia senza margine l’autonomia della persona, la sua capacità di decisione e di scelta” (Sud e magia, Feltrinelli, p. 15).

Proprio il libero arbitrio è il nemico principale di Papa Nanni, che punta alla spersonalizzazione dei suoi discepoli, all’annichilimento delle loro individualità: si guardi al commento del santone riguardo al tentato suicidio di Andrea dopo la morte del padre, “Papa Nanni dice che questo è successo perché ho reso la morte di mio padre esemplare, senza comprenderla per quello che invece è stata davvero: un’ennesima tragedia causata dal libero arbitrio” (p. 130), all’annientamento del ragazzo durante gli esorcismi, “Mi serve quella specie di sparizione che riesco a ottenere quando mi metto a suonare per bene, che sembra che non c’è niente, soltanto io, le mani, il suono, e un niente, un niente bello che ci starei dentro per sempre” (p. 167), al giudizio di Gabry riguardo ai riti celebrati in paese: “Per lei era una delle tante caratteristiche senza forma e senza volto del paese di merda” (p. 93) o, infine, al vuoto in cui sembrano caduti molti personaggi: ”Mia madre è malata di vuoto” (p. 35) dice Andrea e, descrivendo quella di Miriam, “E poi guarda me, gli occhi mò senza spavento: vuoti, ora, come quelli di mia madre” (p. 107).

Il meccanismo dell’essere-agito-da e la conseguente perdita di identità, dovuti non solo alla condizione post-traumatica in cui vivono i personaggi ma ai meccanismi fascinatori messi in atto dal santone, sono un elemento strutturale del testo. E il percorso tracciato dai protagonisti è proprio quello di una liberazione, una conquista di autonomia dal malamore, dal malesangue che infetta la loro vita sotto l’influenza di Papa Nanni.

Come già accaduto nel romanzo d’esordio, anche in Lei che non tocca mai terra Donaera costruisce un testo dall’incedere rabbioso, fulminante, una prosa poetica dotata a un tempo di grazia e ferocia in cui i personaggi, seppur coinvolti in fatti di assoluta crudezza, sono capaci di mettere a nudo la propria profondità psicologica e umana.

 

(Agostino Bimbo)

 

15 dicembre 2021

 
 
 

Cari lettori,

la redazione di Squadernauti si modifica e amplia.

Dopo più di sette anni, Giovanna Piazza lascia la co-gestione del blog. Da oggi, ad affiancare Claudio Bagnasco ci saranno Agostino Bimbo, Giovanni Locatelli, Giulio Neri, Carlo Sperduti, Chiara Stefanacci, Gianni Usai e Lara Zambonelli.

Non muterà l’atteggiamento frontale nei confronti della parola, che – almeno nelle intenzioni – caratterizza questo spazio letterario.

L’ampliamento della redazione porterà ulteriori energie e idee, oltre a pubblicazioni più frequenti. E chissà quali novità che solo seguendoci potrete scoprire assieme a noi.

Un benvenuto, dunque, ai nuovi redattori.
E ai lettori vecchi e nuovi: bentrovati.

Claudio Bagnasco e Giovanna Piazza
 

 

Cari voi,

dopo sette anni di intenso scambio umano e letterario quasi quotidiano e intesa di rara bellezza con Claudio nell’ascolto della parola, sento che il tempo dell’avventura squadernautica è per me terminato.

Ringrazio tutti i lettori, i non pochi editori che hanno dato fiducia al nostro sguardo, i tanti autori che ci hanno contattato, affidando le proprie opere alla nostra attenzione, e gli scrittori e le persone incontrati – veramente incontrati – attraverso Squadernauti.

Alla nuova redazione auguro di cuore l’entusiasmo della lettura del mondo degli altri e la gioia di condividere questa esperienza come coro di anime in ascolto.

A Claudio, non senza commozione, giunga tutta la mia gratitudine, muta e viva come un paesaggio, e l’affetto profondo per questo cammino condiviso come due fedeli compagni di parola.

Un abbraccio,

Giovanna