Taiye Selasi

Pensiero madre

 
 
 

Uscito nel giugno del 2016 per Neo Edizioni a cura di Federica De Paolis, Pensiero madre raccoglie i racconti di diciassette scrittrici sul tema della maternità. Esse sono, in ordine di apparizione: Gaia Manzini, Taiye Selasi, Simona Sparaco, Gilda Policastro, Gaja Cenciarelli, Veronica Raimo, Camilla Costanzo, Chiara Valerio, Chiara Barzini, Cinzia Bomoll, Melissa Panarello, Carla D’Alessio, Simona Baldanzi, Caterina Bonvicini, Ilaria Bernardini, Kamin Mohammadi e Silvia Cossu.

Queste narrazioni, per quanto sia sempre arduo (e soprattutto arbitrario) intravvedere somiglianze e istituire raggruppamenti, si potrebbero quasi suddividere in tre categorie. Appartengono alla prima i racconti forse meno riusciti, nei quali (con una rivendicazione di autonomia esibita talvolta un po’ troppo platealmente) la condizione di madre viene percepita come un possibile ostacolo alla propria crescita umana e professionale; non manca nemmeno il paragone, non si sa se più ingenuo o più azzardoso, tra figli e libri.

copertina_pensiero_madre.inddLa seconda categoria ci restituisce pagine in cui la maternità è, in modi diversi, uno strumento per dire od ottenere altro. Ne La caccia, ad esempio, Melissa Panarello ci presenta una coppia composta da due giovani, Piera e Renato, che evidentemente non si sono mai conosciuti, mai ascoltati. Basta infatti un divergente giudizio morale riservato a un servizio di un telegiornale per scatenare non solo un litigio, ma soprattutto un profondo stupore in Piera, che solo in quel momento pare accorgersi delle profonde differenze tra il Renato da lei presunto e quello autentico; e allora il dialogo su una possibile genitorialità, che sarà sempre Piera a introdurre faticosamente, assume contorni grotteschi, come se appartenesse ad altri o a un tempo ormai irrecuperabile.

Gaja Cenciarelli nel suo Nuda verità allestisce una storia di perfidie incrociate basata sul classico schema del triangolo: lo strumento della maternità sarà stavolta adoperato dalla protagonista, la dottoressa Donatella Mugghiani, per ricattare il proprio amante nonché marito di una giornalista, la quale si è vendicata della loro tresca scrivendo un articolo infamante sul suo conto.

Ne L’orologio biologico, di Kamin Mohammadi, una quarantacinquenne senza figli nell’accompagnare l’anziano padre all’ospedale si concede una riflessione dolente sulla sua mancata maternità e, più in generale, sulle stagioni della vita: “È un argomento a cui raramente penso, ed è solo qui, nei corridoi di questo ospedale, mentre accompagno mio padre a questi appuntamenti, che immagino quel luogo di un futuro lontano in cui si trova la mia vecchiaia e mi chiedo come si presenterà, quale sarà l’orizzonte che mi aspetta, chi ci sarà lì con me”, p. 209.

Tuttavia si sospetta che le narrazioni più riuscite siano quelle in cui la maternità è vista, al riparo da ogni retorica (sia essa all’insegna del cinismo o del sentimentalismo), come un fatto della vita. Un fatto grande, certo, che dunque si può accogliere solo in due modi: o piegandosi alla sua eccezionalità oppure provando a ridimensionarlo per mezzo dell’ironia. (altro…)