La trilogia di Nane Oca di Giuliano Scabia
Nane Oca, Einaudi 1992.
Le foreste sorelle, Einaudi 2005.
Nane Oca rivelato, Einaudi 2009.
Attraversando quest’opera tripartita, diventa subito chiaro che è possibile dire la gioia, una gioia che è movimento e forma umana e di bestia (dal momento che, come scrive Scabia, “esistono più bestie di quelle che si vedono”, Nane Oca, p. 6); gioia che è fatta di narrazione, cioè di tempo, conosce durata eppure si dà vibrante in istanti di fioritura e contemplazione, se è vero che l’eternità per l’essere umano è possibile solo in attimi.
La saga si pone al di là dei generi, è giallo e sua parodia, teatro, narrazione lirica e d’avventura, favola, fiaba, poema e disegno, persino partitura.
La lingua appare nuova, impura e sensuale, lirica e popolare; un italiano dalla sintassi ironicamente letteraria si fa illuminare dalle espressioni fulgide del dialetto di Padova e dei rustici pavani dintorni, entrambi trasfigurati in magiche sembianze. Lingua di luce e corporale, dunque.
In questa trilogia Giuliano Scabia porta al limite la fantasia e con ciò non intende consolare il lettore né proteggerlo dalla realtà; piuttosto, il suo dire e il suo creare provengono da uno sguardo e da uno slancio che sovvertono l’abituale, al punto che la creazione è piacevolmente infinita, incalzante, libera e liberante, poiché scardina immaginari logori, invita a una attenzione gaia e divertita (cioè, volta altrove), a un pensiero che nasce non nella sacralità, e dunque nella separatezza delle costruzioni umane e delle macchine, ma nell’incomprensibile e misteriosa natura in cui le figure tutte sono immerse. E tale grandiosa realtà è fatta di personaggi al di là dell’ordinario eppure dai modi e dai vissuti creaturali e umani, e ciascuno di essi è dotato di un’anima propria e inconfondibile; tutti sono accomunati dal desiderio di essere insieme l’uno all’altro a ragionare delle cose del mondo, ad ascoltare le storie, a danzare, a stare bene, a dire e a fare d’amore.